LA SCARPA GELSOMINA
Gelsomina, una scarpa vecchia e consunta, si nascose dietro un cespuglio dall’aria un po’ smunta.
Era sporca, infangata e aveva la suola quasi tutta scollata.
Un tempo era stata di un bambino, poi l’aveva usata il fratellino e passata al cuginetto era finita nel cassonetto!
Lei però lì dentro non ci voleva stare e così si era data da fare: aveva scalato la montagna dei rifiuti ed era riuscita ad uscire grazie a tanti buchi.
La notte era fredda, l’aria gelata e la strada brillava completamente ghiacciata.
La povera scarpaccia, tremante e intirizzita, si armò di coraggio e affrontò la salita.
Si sforzava, si aggrappava e alla fine ruzzolava.
Era attaccata all’alloro quando sentì qualcosa di bagnato, che le annusava la linguetta e la inumidiva col suo fiato!
Gelsomina allentò la presa e rotolò nella discesa, sentì una zampata e serrò gli occhi spaventata.
Quando li riaprì, una montagna pelosa, le trotterellava intorno e la guardava curiosa.
Sembrava essere sparita quando, all’improvviso, si sentì ribaltare da un mastodontico peso!
La stessa calamità le mordicchiò i laccetti e una volta sfrangiati, la studiò coi suoi occhietti.
Poi fu trasportata nel giardino di un ricco cittadino.
La scarpa giaceva a terra tramortita, mentre la grossa bestia scavava indaffarata. Dunque interrò la calzatura, fece pipì e nuovamente sparì!
Lì sotto Gelsomina si sentiva soffocare, era immobilizzata e non riusciva a respirare. Allora si cominciò a divincolare e iniziò a ridere senza riuscirsi più a fermare: una formichina le solleticava la suola e coi suoi piccoli passettini le strappava dei gridolini.
Intanto la terra si era smossa e la scarpa uscì con un’abile mossa.
Era ormai mattina, si apriron le finestre e dalla casa usciron due persone assi diverse: davanti c’era un uomo, altero e arrabbiato, dietro bimbo Leo, ancora un po’ assonnato.
L’uomo dagli occhi lanciava scintille, pelle verdastra e nere pupille. La scarpa saggia si fece da parte, lui la scorse e inveì al volante.
Dopo dieci minuti uscì una signora, era elegante e si truccava ancora! Schioccò le dita e accorse il suo autista, accese la macchina e sparì dalla vista.
Da ultime usciron Matilde ed Alice, le due gemelle dal viso felice.
Passò la mattina, arrivò mezzogiorno e l’allegra accoppiata fece ritorno.
Le ammonì la signora: s’eran sporcate, maglie verdi d’erba e calze strappate!
Si scusaron le bambine passando dalla tavola e via in giardino, il mondo della loro favola.
Si levaron le giacchette, impugnarono i cucchiai e cominciarono a scavare, cercando i formicai.
Catturarono i lombrichi, trovarono anche lei e la storia a questo è divertente bimbi miei!.”
Matilde la prese, Alice la tirò e coi lacci in un groviglio contro Leo la scagliò. Il bimbo passò all’attacco, la battaglia cominciò e fra lombrichi, erba e foglie il pomeriggio volò!
Rincasò il padre, vide lo sconquasso e avanzò minaccioso col suo rabbioso passo. I bambini zittirono il genitore era lì e la battaglia per quel giorno purtroppo finì!
Rientrarono veloci, lavati e sistemati, dopo i cartoni a letto mandati.
Gelsomina sorrideva, non era spaventata, aveva un piano in testa e si addormentò beata.
La mattina seguente, quando l’uomo uscì, gli fece lo sgambetto e poi rimase lì.
Quello si gonfiò perché era infuriato, faccia pomodoro e pugno serrato. Le tirò un calcio, ma la scarpa si spostò e il signore ancor più furente così diventò.
Cadde a terra e sbatté il sedere, si strappò i capelli e spiaccicò le pere.
Buttò l’occhio all’orologio: erano le otto, promise vendetta e si rialzò di botto.
Gli bloccò Gelsomina il passo, ma la scansò, lei però testarda ancor davanti si piazzò.
La bocca dell’uomo si aprì in un ghigno, ritti i capelli ruggì maligno. La scarpaccia reagì e gli fece gli occhiacci, bocca feroce e annodati i lacci.
Lui alzò la voce, lei gli disse: “Toh! Hai la bottega aperta, lo noto adesso, oibò!!!”
Il signore balbettò: “N-no n-non è vero! È impossibile, i-inammissibile che mi succeda una c-cosa simile!”
Da grande, grosso e furioso era diventato piccolo e timoroso; seduto sulla panchina, si mise a piangere: “La mia mammina …”
Non era cattivo, ma si era dimenticato i tempi in cui era un bambino e non un uomo arrabbiato.
Parlarono i due e come padre capì, che per essere felice, doveva restare lì.
Cancellò un appuntamento e rientrò in casa, accolse con un sorriso anche la domestica Rosa.
La scarpa partì, di lei più non si parlò, ma si dice che col suo piede per tutto il mondo viaggiò!