mercoledì 10 novembre 2010

LA SCARPA GELSOMINA

Gelsomina, una scarpa vecchia e consunta, si nascose dietro un cespuglio dall’aria un po’ smunta.
Era sporca, infangata e aveva la suola quasi tutta scollata.
Un tempo era stata di un bambino, poi l’aveva usata il fratellino e passata al cuginetto era finita nel cassonetto!


Lei però lì dentro non ci voleva stare e così si era data da fare: aveva scalato la montagna dei rifiuti ed era riuscita ad uscire grazie a tanti buchi.
La notte era fredda, l’aria gelata e la strada brillava completamente ghiacciata.
La povera scarpaccia, tremante e intirizzita, si armò di coraggio e affrontò la salita.
Si sforzava, si aggrappava e alla fine ruzzolava.
Era attaccata all’alloro quando sentì qualcosa di bagnato, che le annusava la linguetta e la inumidiva col suo fiato!
Gelsomina allentò la presa e rotolò nella discesa, sentì una zampata e serrò gli occhi spaventata.
Quando li riaprì, una montagna pelosa, le trotterellava intorno e la guardava curiosa.
Sembrava essere sparita quando, all’improvviso, si sentì ribaltare da un mastodontico peso!


La stessa calamità le mordicchiò i laccetti e una volta sfrangiati, la studiò coi suoi occhietti.
Poi fu trasportata nel giardino di un ricco cittadino.
La scarpa giaceva a terra tramortita, mentre la grossa bestia scavava indaffarata. Dunque interrò la calzatura, fece pipì e nuovamente sparì!
Lì sotto Gelsomina si sentiva soffocare, era immobilizzata e non riusciva a respirare. Allora si cominciò a divincolare e iniziò a ridere senza riuscirsi più a fermare: una formichina le solleticava la suola e coi suoi piccoli passettini le strappava dei gridolini.
Intanto la terra si era smossa e la scarpa uscì con un’abile mossa.
Era ormai mattina, si apriron le finestre e dalla casa usciron due persone assi diverse: davanti c’era un uomo, altero e arrabbiato, dietro bimbo Leo, ancora un po’ assonnato.


L’uomo dagli occhi lanciava scintille, pelle verdastra e nere pupille. La scarpa saggia si fece da parte, lui la scorse e inveì al volante.
Dopo dieci minuti uscì una signora, era elegante e si truccava ancora! Schioccò le dita e accorse il suo autista, accese la macchina e sparì dalla vista.
Da ultime usciron Matilde ed Alice, le due gemelle dal viso felice.
Passò la mattina, arrivò mezzogiorno e l’allegra accoppiata fece ritorno.
Le ammonì la signora: s’eran sporcate, maglie verdi d’erba e calze strappate!
Si scusaron le bambine passando dalla tavola e via in giardino, il mondo della loro favola.
Si levaron le giacchette, impugnarono i cucchiai e cominciarono a scavare, cercando i formicai.


Catturarono i lombrichi, trovarono anche lei e la storia a questo è divertente bimbi miei!.”
Matilde la prese, Alice la tirò e coi lacci in un groviglio contro Leo la scagliò. Il bimbo passò all’attacco, la battaglia cominciò e fra lombrichi, erba e foglie il pomeriggio volò!
Rincasò il padre, vide lo sconquasso e avanzò minaccioso col suo rabbioso passo. I bambini zittirono il genitore era lì e la battaglia per quel giorno purtroppo finì!
Rientrarono veloci, lavati e sistemati, dopo i cartoni a letto mandati.
Gelsomina sorrideva, non era spaventata, aveva un piano in testa e si addormentò beata.
La mattina seguente, quando l’uomo uscì, gli fece lo sgambetto e poi rimase lì.
Quello si gonfiò perché era infuriato, faccia pomodoro e pugno serrato. Le tirò un calcio, ma la scarpa si spostò e il signore ancor più furente così diventò.
Cadde a terra e sbatté il sedere, si strappò i capelli e spiaccicò le pere.
Buttò l’occhio all’orologio: erano le otto, promise vendetta e si rialzò di botto.
Gli bloccò Gelsomina il passo, ma la scansò, lei però testarda ancor davanti si piazzò.
La bocca dell’uomo si aprì in un ghigno, ritti i capelli ruggì maligno. La scarpaccia reagì e gli fece gli occhiacci, bocca feroce e annodati i lacci.
Lui alzò la voce, lei gli disse: “Toh! Hai la bottega aperta, lo noto adesso, oibò!!!”
Il signore balbettò: “N-no n-non è vero! È impossibile, i-inammissibile che mi succeda una c-cosa simile!”
Da grande, grosso e furioso era diventato piccolo e timoroso; seduto sulla panchina, si mise a piangere: “La mia mammina …”
Non era cattivo, ma si era dimenticato i tempi in cui era un bambino e non un uomo arrabbiato.
Parlarono i due e come padre capì, che per essere felice, doveva restare lì.
Cancellò un appuntamento e rientrò in casa, accolse con un sorriso anche la domestica Rosa.
La scarpa partì, di lei più non si parlò, ma si dice che col suo piede per tutto il mondo viaggiò!



martedì 9 novembre 2010


TORTELLANDO

C’era una volta, in un paese a noi tutti noto, un grande bosco: la Foresta di Parmigiano.


Ai tempi, quando ancora la regione era solcata dal fiume Albana, al sud di questa felice macchia verde viveva un omino che si chiamava Lino.


Era un signore tondo e grassoccio che viveva in una specie di sformato cartoccio. Era molto, molto, molto freddoloso e per ferragosto, mentre fuori si aprivano gli ombrelloni, si rifugiò in casa e accese tutti i termosifoni.

Tutto bene, se non fosse, che il nostro amico era di burro e così le lettere del suo nome si cominciarono a sciogliere: la N diventò una F, la I si incurvò a formare una U, la L si attorcigliò su sé stessa e divenne una S, mentre la O, che delle quattro era la più forte, rimase una O.. ma che pasticcio!!!


Ora l’omino di burro si chiamava Fuso perché, quelle birbone delle lettere del campanello, sciolte dal calore dei muri, ne avevano combinate di tutti i colori!


Improvvisamente Fuso cominciò a sudare e a sudare, ma prima che potesse arrivare a spegnere il riscaldamento, si trovò liquefatto sul pavimento.


Era quello un bosco di chiacchieroni e così la notizia giunse anche ai montoni che parlarono col Tasso che facendo un gran fracasso, portò la notizia fino alla Pianta della Liquerizia.


Questa, dalle radici assai saporite, era sempre sulle labbra delle persone più inaudite. Fu così che di bocca in bocca, un po’ per vero un po’ per pettegolezzo, la notizia arrivò al signor Giovanni Tortellesi, che viveva vicino al Lago abitato dalle rane e in quel momento era avvezzo a curare il suo appetitoso aspetto.


Il signor Giovanni preso dall’entusiasmo si mise in strada: voleva appurare che non fosse solo una diceria, ma a detta mia era soltanto molto goloso.
Cammina cammina, il nostro Tortello, arrivò fino alla radura di Alessandro il cammello.
Un cammello? In Italia? Sì avete capito bene, ma adesso ascoltiamoli che hanno affittato un furgone!


“Come dite, come dite? Perfetto ho capito!” e detto questo Tortellesi indicò la strada con un dito.


Dopo ore di viaggio, scesi dal furgone, proseguirono sulla ‘Mmellostrada, veloci come un treno a vapore.


Ed eccoci arrivati sulla scena dei fatti narrati.


Il povero Lino Burro Fuso era rimasto assai confuso, non si riusciva a raccapezzare, aveva un occhio sulle scale, l’altro sotto la finestra, mentre la bocca era scivolata fino sul davanzale e l’orecchio gli si era ustionato nel piatto della minestra.


Alessandro, assai curioso, sbirciò da un’apertura e quando vide il gran disastro, corse via dalla paura.
Giovanni spalancata la porta entrò, intinse la mano e si ciucciò il dito, al che esclamò: “Uhm, che burro saporito!”




Al complimento lo sventurato sorrise tutto eccitato. Si era sempre sentito dire: “Sei grasso, dimagrisci.. oh per l’amor del cielo, che omino scivoloso!” E proprio il fatto che fosse scivoloso gasò a mille Giovanni che, chiuso lo stendi panni, lo usò come una slitta giù per le scale, dalla soffitta.


Ora anche Tortellesi era unto e bisunto, tanto che Alessandro lo riconobbe a stento.


Quando purtroppo fu ora di tornare, i compagni in lacrime non si riuscivano a salutare. Intuendo che il momento era grave e di difficile soluzione, il Cammello decise così di entrare in azione!
Il Burro ancora sciolto non poteva di certo arrivare all’aeroporto, non se parli della stazione … e allora come la risolviamo questa questione?



Alessandro, autorevole, parlò agli amici, che subito ritornarono come prima e più felici. Dal suo zainone estrasse una lunga cannuccia, la infilò dal camino e subito bevve un sorsino.


Quando Fuso fu tutto nelle sue gobbe, il Cammello fece un sonoro ruttino e Giovanni applaudì: “Ragazzi che concertino!” Anche il Burro si mise a ridere e ad Alessandro, il poverino, venne il singhiozzo, prima ancora che potesse fare un pisolino!
Passata mezz’oretta ecco una combriccola che attraversa la foresta in fretta in fretta.


Erano già a buon punto del viaggio, quando inciamparono su uno strano personaggio. Era una pianta, ma non una pianta normale, disinterrate le radici se ne stava a prendere il sole!
Rialzatosi dal capitombolo il Cammello aveva cercato la malcapitata, che poco prima si crogiolava nel tepore tutta rilassata.
Cercò su, cercò giù, tra il pelo, sugli alberi, niente, nessuna traccia!


Intanto il Tortello era rimasto allibito e non si capacitava di ciò che era appena accaduto.


Quando Alessandro era in preda alla disperazione, già si vedeva i vigili con un’alta sanzione, eccola sbucare fuori come un’illusione e facendo la sostenuta lamentò un dolore per la brutta caduta: “Oioioi, aiaiai … guai guai, per voi saranno guai!!!”



A queste parole, il Cammello, smise di ascoltare il suo cervello e imbavagliata l’insolita tipa la rapì, correndo via su per la salita.


Passarono ore, il cielo si era già fatto nero quando, tornati a casa, andarono a sbattere contro un muro.
Alessandro si accasciò dolorante, mollando la presa sulla pianta scalciante.


Questa, appena toccò terra, cercò di scappare, ma visto che non ci riuscì si rimise a gridare. Ci volle del tempo prima che la riuscissero a calmare e a questo punto riprese a ragionare.


Capendo che si era trattato di un incidente, decise di superare questo tasto dolente e gettatasi alle spalle tutto il rancore, si presentò: “Mi chiamo Salvia, non immaginate quale onore!”


Fatta la pace, Giovanni la ospitò a dormire e per tutta la notte la sopportò russare. Il giorno seguente era convinto a cacciarla, ma trovandola simpatica, capì che era meglio tenerla.


Intanto il Burro era uscito dalle gobbe ed entrato nello Stagno si era solidificato.


Dopo colazione il Tortello doveva lavarsi i denti: fu così che nel Laghetto si tuffò, ma oibò, contro una lastra dura si sfracellò!
Si fece un gran bernoccolo e al Burro, dal dispiacere, venne un gran calore.


Il poveretto ridivenne liquido e Giovanni venne inghiottito, come in un immenso imbuto.
Passato qualche minuto però riuscì a riemergere e prese a nuotare.


Sulla riva la Salvia già si disperava, contratta dal dolore sentì una fitta al cuore.
Ma ad un certo punto si sentì chiamare e, alzato lo sguardo, vide il Tortello che la
invitava a sguazzare!




La cosa risultò assai divertente e nel giro di poco tempo prese piede su tutto il Continente.

Quella stessa sera venne organizzata una festa e milioni di tortelli diedero vita ad una nuova minestra, surfando sulle foglie di salvia in un lago di burro e augurando buon appetito a chiunque avesse gradito!